0.5x0.6x0.7x0.8x0.9x1x1.1x1.2x1.3x1.4x1.5x1.6x1.7x1.8x1.9x2x2.1x2.2x2.3x2.4x2.5x
00:00
-00:00
1x
Embed
<iframe width="700" height="480" src="https://player.timelinenotation.com/albertospatola/23947/embed" frameborder="0"></iframe>
The House of European History, Bruxelles

 

[Italiano in fondo]  

♫ I’m an alien, I’m a legal alien
I’m an Englishmen in New York 🎝

♫ Oh-oh ! Un peu en exil,
Étranger dans votre ville,
Je suis Africain à Paris 🎝

In these ways, Sting and Tiken Jah Fakoly sing being in another continent, being immigrant, or as we often reserved just for white “mobile citizens”: ex-pats.

Which melody should we dedicate, instead, to those that move across the borders within the European Union?
They frequently describe the journey of those changing continents, as a significant shift, overcoming cultural and bureaucratic barriers.
Instead, the rhetoric around moving within the European Union cannot be more different: freedom of movement, roaming for mobile internet and calls, health assurance across the Union, low-cost flights and more recently, the “Covid Safety Ticket”; “Green-pass” for the friends.
Yes, we have 24 official languages, but you can go everywhere with English and a few local words, especially if you’re young and educated.
Hey, we are united in diversity. That’s so cool!

This rhetoric is pretty different from the reality on the ground.
And for me, living, fostering for a decade the EU rhetoric, finding how incomplete, a lie, yes a lie, the EU promise is right now has been an identity trauma with ups and downs for the last 17 months.

In the film “The Ides of March”, George Clooney imagines a charismatic atheist candidate for the US Presidency; who once confronted how to be in the White House without a belief, he answers that he believes in the Constitution, and he will solemnly swear on it.
We can discuss if the US of today is up to its promises. Still, there’s no discussion that the US exists and, with it, the American people.
I cannot say the same about the EU.
I can see its institutions here in Bruxelles every day, and I’m aware of their influence on the politics and laws of the continent.
But does the EU exist? I believed in it, but now I cannot feel it at all.

States, and even less international organisations, are not real things, have no feelings.
They might say on the news that Italy is suffering, France is marching, China is growing, but are they actually suffering, marching, growing? Not at all.
The EU, too, has no emotions, but it has the potential to kindle them.
I don’t expect nation-states to trigger particular emotions; nations are strange tools of two centuries ago for romanticists weaponised for ethnic cleansing and displacement, leading to the European Civil War that we still call WWI and WWII.

The EU claims to be different, a Union based on values.
At EU core, compromise, peace, prosperity, Erasmus Generation as the crucial protagonist.
The EU claims to be a global example, in clear contrast with the past exploitations.

I believed in all these, so I arrived 17 months ago in Bruxelles: the EU informal capital.
Only now do I have a proper ID, health coverage, and I can sufficiently interact with offices in everyday life just because I learnt some French.
In the Municipal departments for foreigners, it is almost impossible to find someone speaking English. The so-called EU bubble would burst in two seconds without an army of underpaid interns that compete with any possible weapon: higher education, masters, languages and connections.

The result is that each year the EU institutions eat and then throw a large part of their best people with something more in their CV that likely most of the people will not understand.
And for the rest of Bruxelles, you’re a detached élite working for the Commission, living in the European Quarter, that area that is almost not considered part of the city.

We could have a people, the Europeans; instead, we leave without identity and representation those ready to recognise global problems and look for and deliver global solutions.
In short, we are wasting the future of a continent, or at least the best chance to have the leadership we need, maybe deserve.

Likely, we should sing:

♫ Oh-oh! I’m European,
and in this society
I don’t know who I am 🎝

-----------------------------------------------------

♫ I’m an alien, I’m a legal alien
I’m an Englishmen in New York 🎝

♫ Oh-oh ! Un peu en exil,
Étranger dans votre ville,
Je suis Africain à Paris 🎝



Così, Sting e Tiken Jah Fakoly cantano essere in un altro continente, essere immigrati, o come riserviamo solo per i “cittadini mobile” bianchi: expats.

Quale melodia dovremmo dedicare, invece, a coloro che si spostano attraverso i confini dell’Unione Europea?
Spesso si descrive il viaggio di chi cambia continenti, come un passaggio importante, superando barriere culturali e burocratiche.
Invece, la retorica intorno al muoversi per l’Unione Europea non potrebbe essere differente: libertà di movimento, roaming per internet e chiamate, assistenza sanitaria in tutta Europa, voli low-cost e più recentemente il “Covid Safety Ticket”; “Green-pass” per gli amici.
Abbiamo 24 lingue ufficiali, ma te la puoi cavare ovunque con l’inglese e qualche parola del posto, specialmente se sei giovane e istruito.
Dai, siamo uniti nella diversità. Che cosa straordinaria!

Questa retorica è assai diversa dalla realtà sul posto.

E per me che per un decennio ho vissuto e sostenuto la retorica europea, scoprire quanto incompleta e falsa sia questa promessa è stato un trauma identitario con i suoi su e giù negli ultimi 17 mesi.

Nel film “Le idi di Marzo”, George Clooney immagina un carismatico, ateo candidato alla Presidenza degli USA; il quale alla domanda su come potesse entrare alla Casa Bianca senza una fede, risponde che crede nella Costituzione e su di essa giurerà.

Possiamo discutere se gli USA di oggi sono all’altezza della loro promessa. Ma, non c’è discussione che gli USA esistano, e con loro, il popolo americano.
Non posso dire lo stesso dell’UE.
Posso vedere le sue istituzioni qui a Bruxelles ogni giorno, e sono consapevole della loro influenza sulla politica e leggi del continente.
Ma esiste l’UE? Ci ho creduto, ma non la sento più.

Gli Stati, ancor meno le organizzazioni internazionali, sono cose reali, non hanno sentimenti.

Si può dire nei TG che l’Italia soffre, la Francia marcia, la Cina cresce, ma stanno effettivamente soffreno, marciando, crescendo? Gli Stati non hanno gambe e sistema nervoso. Ancor meno emozioni.
Anche l’UE non ha emozioni, ma ha il potenziale di suscitarle.
Non mi aspetto dagli Stati-nazione di suscitare emozioni; le nazioni sono strani strumenti di due secoli fa per romantici divenuti armi per pulizia ed evacuazione etnica, fino ad arrivare alla Guerra Civile Europea che ancora chiamiamo I e II Guerra.


L’UE afferma d’essere diversa, un’unione che si basa su valori comuni.

Al centro dell’UE compromesso, pace, prosperità, la Generazione Erasmus come cruciale protagonista.
L’UE afferma d’essere un esempio per il mondo, in chiaro contrasto con gli sfruttamenti del passato.

Ho creduto in tutto ciò, così arrivai 17 mesi fa a Bruxelles: nella capitale informale dell’UE.
Solo ora ho una Carta di residenza come si deve, copertura sanitaria, e posso interagire decentemente negli uffici giorno per giorno, solo perché ho imparato un po’ di francese.
Negli uffici comunali per stranieri, è quasi impossibile trovare qualcuno che parla inglese. La cosidetta bolla dell’UE scoppierebbe in due secondi senza un’armata di tirocinanti sottopagati che competono tra di loro con ogni mezzo: diplomi, master, lingue e conoscenze.

Il risultato è che ogni anno le istutizioni europee mangiano e poi rigurgitano gran parte delle loro migliori forze per lasciargli un punto in più sul curriculum che la maggior parte delle persone non capirà.

E per il resto di Bruxelles, sei una élite scollegata che lavora alla Commissione, vive nel quartiere europeo, in quell’area che quasi non è considerata parte della città.

Potremmo avere un popolo, gli Europei, invece abbandoniamo senza identità e rappresentanza coloro che sono pronti a riconoscere i problemi del mondo, riconoscere e applicare soluzioni globali.
In breve, stiamo gettando via il futuro di un continente, o almeno la migliore occasione d’avere la classe dirigente di cui abbiamo bisogno.

Probabilmente dovremmo cantare:

♫ Oh-oh! I’m European,
and in this society
I don’t know who I am 🎝