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Emanuele: Ciao! Eccoci di nuovo qui per un altro episodio del nostro podcast Prossima fermata: inglese. Prima di iniziare, vorrei darti un piccolo suggerimento: sul sito www.babbel.com/podcasts puoi trovare la trascrizione di questo episodio. Potrebbe tornarti utile, nel caso volessi rileggere le parti in inglese che non ti sono state chiare. Facendo così vedrai che l’ascolto diventerà molto più semplice!
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Oggi ci attendono ben due destinazioni: prima faremo tappa in Kenya, e poi ci sposteremo a New York!
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Bene, ora allaccia le cinture perché si parte per il nostro prossimo viaggio!
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Sono Emanuele e in questo podcast ti porterò con me in un viaggio virtuale. In ogni episodio ascolteremo insieme un racconto proveniente dal mondo anglofono. Ti darò qualche informazione sul contesto oppure delle piccole dritte sulla lingua, ad esempio su un tema grammaticale. Ma attenzione, perché questo non è un podcast sulla grammatica! La cosa più importante è che tu ti diverta in compagnia delle nostre storie!
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Oggi Tevin ci racconterà della sua infanzia in Kenya e di come la sua vita sia cambiata radicalmente quando si è trasferito in America. Ci spiegherà anche perché l’inglese non è sempre esattamente la stessa lingua ovunque. 
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Tevin: I was born in a small town called Meru, in Kenya. It was just me and my mom. 
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We moved to the capital city, Nairobi, when I was four years old. My mom never had much money. Life wasn’t so easy.
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When I was seven years old, my mom married my step-dad, and we moved to a nicer apartment. 
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When I was 13, I took my high school exams. I got into a good boarding school. My life was finally getting better. I did well in school, I had close friends, and even my first girlfriend. I felt like I belonged.
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Then, just one year later, my life changed again. My step-dad got a job working for the UN in New York. 
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UN Headquarters 2
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We had to move. I didn’t want to go. My life was so good in Nairobi! Why did we have to go now?
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Emanuele: Già… Proprio quando Tevin cominciava ad apprezzare la sua vita a Nairobi, si è ritrovato a dover lasciare quell’ambiente che gli era diventato familiare. Lo shock culturale al suo arrivo a New York si prospettava senza dubbio significativo. E come l’avrebbe messa con il nuovo clima? A Nairobi le temperature sono miti tutto l’anno, mentre a New York può fare molto freddo.
03:04
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Tevin: I protested, but nothing changed. We moved to New Rochelle, just north of New York City. We arrived in the winter, and I was shocked. It was so cold!
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I didn’t have a real jacket. I never needed one in Kenya.
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The next surprise: our new apartment building. It was taller than the tallest building in Kenya! I always knew America was different, but this felt like another universe! And… the surprises didn’t stop there. 
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Emanuele: Beh, il problema del freddo è più che comprensibile, lo sappiamo bene noi italiani che siamo abituati a un clima piuttosto mite. Ricordo che quando sono arrivato qui a Berlino per la prima volta non ero affatto preparato alle temperature rigide dell’inverno tedesco e, come Tevin, non avevo una giacca adatta ad affrontare quel nuovo clima. I never needed one in Kenya, dice Tevin. Never è uno dei cosiddetti avverbi di frequenza, in inglese adverbs of frequency. Altri avverbi di frequenza sono always, sometimes, usually, often, rarely, e in inglese vengono sempre messi prima del verbo. Nel resto della storia di Tevin ne incontreremo altri.
04:16
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Tevin: English is the official language of Kenya. All my classes at school were in English, and I often spoke it with my friends and family. So, I thought communication in the States would be easy. We all speak English, right? But when I moved to the US, I learned I was very wrong. 
04:36
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Yes, the Americans and I spoke the same language, but communication was hard. It was hard for the Americans to understand my Kenyan accent. It was hard for me to understand the fast American speech… and the slang.
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Emanuele: Immagino quanto possa essere frustrante arrivare in un nuovo Paese e pensare “beh, per fortuna almeno parliamo la stessa lingua” per poi accorgersi che un accento diverso può rendere tutto più complicato. E come se non bastasse, alcune espressioni colloquiali o slang non sono per niente facili da capire.
05:13
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Tevin: Here are a few stories I always tell about my struggle to communicate. First, our address in New Rochelle was 40 Memorial Highway. But, when I say “forty”, with my accent it sounded like “fourteen”.
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Every time I took a taxi, the driver brought me to the wrong place. I was usually too embarrassed to say anything. I just thanked the driver, got out, and walked home.
05:44
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I remember the first time I went to a fast food restaurant. After I ordered, the cashier asked me “Forhereortogo?”. “Was that one word?”, I thought to myself. “FOR HERE OR TO GOOOO?”, he said again. “Oh. Yes. I mean. For here. Thanks.” I was so embarrassed… again.
05:50
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Alt:

06:09
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Then there was slang. When students at my new school made plans, they sometimes said, “I’m up for that”, and sometimes, “I’m down for that.” I always thought you say “I’m up” when you want to do something, and “I’m down” when you don’t. Later, I learned that they both mean “I want to do that.” I was so confused.
06:33
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Emanuele: Devo dire che questi piccoli incidenti di percorso mi sono decisamente familiari! E probabilmente lo sono a chiunque abbia imparato una nuova lingua. Quante volte un’intera frase ci è sembrata una sola parola perché pronunciata velocemente? Per non parlare dello slang e dei modi di dire locali: I’m up, I’m down si traducono letteralmente con “sto su” e “sto giù”, ma significano in realtà la stessa identica cosa: “ci sto”. È impossibile conoscere il significato di espressioni come queste, a meno che non si imparino nel loro contesto. Ma come ha fatto Tevin ad abituarsi all’inglese di New York in poco tempo?
07:07
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Tevin: I felt so dumb. People didn’t often understand me, and I rarely understood them. How could I improve? What should I do? Then, I had an idea. I started watching TV. A lot of TV.
07:22
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Alt:

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I usually watched sitcoms because I wanted to learn to speak like everyday people. So I watched, I listened, and I learned.
07:35
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After some time, my English improved. I listened to the conversations on TV shows. This helped me to understand the fast-talking Americans. 
07:48
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Also, I often repeated what the characters on the show said. It helped me to practice speaking, and it’s how I learned the American accent I have today. It also helped me learn some slang.
08:03
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When my English improved, it was much easier to fit in. I was more confident. I made more friends. I did well at school. And I learned to enjoy my new home.
08:16
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Emanuele: L’arrivo di Tevin a New York non è stato facile, ma grazie alla televisione ha imparato a capire e a imitare l’accento americano rapidamente. Allo stesso tempo è riuscito anche ad avvicinarsi alla cultura del suo nuovo Paese e, proprio attraverso la lingua, Tevin si è aperto una porta sulla società americana: it was much easier to fit in, è stato molto più facile ambientarsi.
08:37
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Anche oggi siamo arrivati alla fine del nostro viaggio. Spero che la storia ti sia piaciuta e che magari tu abbia memorizzato qualche avverbio di frequenza. In ogni caso, se ti interessa saperne di più, puoi sempre dare un’occhiata ai corsi base che trovi nell’applicazione di Babbel.
08:52
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Ci farebbe piacere anche conoscere la tua opinione sul nostro podcast. Scrivi una mail a podcasting@babbel.com oppure lasciaci un commento nell’apposita sezione. Grazie per averci ascoltato e… ti aspettiamo alla prossima fermata!
End
Tevin, originario del Kenya, è cresciuto parlando inglese, la lingua ufficiale del suo Paese. Una volta trasferitosi a New York con la sua famiglia, si è ritrovato non solo a dover fare i conti con nuove abitudini culturali ma anche con espressioni inglesi mai sentite! In questo episodio Tevin ci racconta dello shock culturale e di come ha imparato frasi idiomatiche usate a New York…